Background Image

naufragi

naufragi

Il bagliore proveniente dalla stanza accanto gli fece dischiudere controvoglia le palpebre: anche quella notte aveva dovuto far fronte all’ennesimo arrembaggio dell’insonnia.

Non era stato il pallore della luna che filtrava dalle tavole malferme in chissà quale angolo della stanza a tenerlo sveglio. E neppure le grida sconnesse di qualcuno dei suoi compagni che stava sognando di qualche discussione movimentata avuta prima di salpare.

A sbarrargli le porte del sonno erano quelle diaboliche fossette che incastonavano un tesoro di piccole perle.

Ancor peggio di una ferita di moschetto mai curata, quell’immagine profumata al caramello e fragola di tanto in tanto lo tormentava. Puntuale ed ostinata, quasi fosse il fantasma di un marinaio che riemergeva dalla foschia del molo a reclamare brontolando la sua vecchia cambusa.

Certo, se dall’oscurità fosse balenato quel sorriso probabilmente per addormentarsi non sarebbe bastato circumnavigare mille volte questo enorme e stupido sasso tondo. Meglio così!, sospirava.

Invano tentava di sfuggire a quegli spettri ammaliatori tirando a sé le coperte, mentre le parole nel buio si accatastavano impazienti come fogli disordinati sullo scrittoio di un giovane romanziere squattrinato.

Avrebbe dovuto tenere un diario, pensava.
L’idea già lo infastidiva.
O forse sarebbe stato più intrigante scrivere un roman à clef, tanto chiacchierato nelle sale da thè che servono assenzio sottobanco agli studentelli di casa a Place de la Sorbonne. Magari con protagonista un bulldog dandy con l’accento di Edinburgo e le maniere indelicate di uno di quei ciarlatani di Coney Island.

Inutili vaneggiamenti.
La sorte di quel ciondolare notturno non avrebbe potuto che essere una. Ed una soltanto.

Il contorto vortice di insensatezze avrebbe trovato il suo ultimo approdo inciso sopra le assi del castello di prua. Lì, quel corteo di parole sarebbe rimasto imperterrito e fiero, incurante delle stilettate gelide dei fiordi e della brezza di Hokkaido colma di petali di sakura.

O più probabilmente quell’opera estemporanea avrebbe resistito solo per il volgere di un assolato mattino, per sparire inghiottita dai flutti come un relitto che nessuno reclama più.

Abbandonò quindi quel vascello di lenzuola e fece neanche otto passi, scalzo, lungo il breve corridoio. Affondò le mani in quell’acqua gelida come in un forziere colmo di zaffiri.
E si svegliò.

Rileggi